02/05/10

La gabbia del lavoro

"L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro". Sicuramente metà dell'assemblea costituente avrebbe voluto dire "repubblica dei lavoratori". Avrebbe avuto un senso completamente diverso. Non sto pensando alla mitologia dello Stakanov che raggiunge 20 volte la produttività giornaliera garantendo l'ottemperanza del piano quinquennale e il benessere dello stato sovietico, ma piuttosto all'idea che il diritto-dovere del lavoro da a tutti coloro che ne partecipano una parte di responsabilità sulla gestione della cosa pubblica, del bene comune. Ma d'altra parte l'idea del lavoro c'è in un po' tutte le ideologie. L'ora et labora cristiano, prega si, però non è che se preghi allora c'è qualcuno che lavora al posto tuo. Nel liberismo il lavoro è ciò che da valore ad una risorsa naturale attraverso un processo di trasformazione, e legittima la proprietà privata; all'estremo c'è il mito del self-made man. La scritta "il lavoro rende liberi" campeggiava (sarcasticamente?) sappiamo dove. Il primo articolo della costituzione italiana è un compromesso, e da solo non vuol dire proprio nulla, anzi, in un contesto selvaggiamente capitalista mi suona sbeffeggiante e derisorio. Tu, povero tapino, annaspa nelle categorie mentali che qualcuno ha impacchettato per te, sgobba tutta la vita, paga le tasse, almeno quel tanto che basta per garantire che la sovrastruttura sopravviva a se stessa; qualcuno magari sarà ricco ma tu quantomeno sarai dignitoso.

Instalación Ford River Rouge, Dearborn, Michigan.
Libreria del Congreso de lo Estados Unidos de America

Intanto la struttura fordista ha plasmato la nostra società e ancora di più la rappresetazione che ce ne siamo fatti, l'idea che sia essa ad averci donato qualche auspicabile forma di benessere, i pavimenti lucidi, l'antenna sul balcone al posto del cesso, il riscaldamento centralizzato, l'auto di media cilindrata con cui affollare luoghi scelti arbitrariamente il sabato sera e fare le scampagnate la domenica pomeriggio, per poi rottamarla con gli ecoincentivi dopo cinque anni di vita, sia mai che senza sostegno questo modello a cui siamo disperatamente attaccati svanisca, perché tutto il resto è precarietà, disfacimento, stabilimenti semi-periferici abbandonati con i vetri rotti, occupati da immigrati clandestini uomini divorziati e rifugiati politici.
Questa strutturazione della vita a compartimenti stagni forse avrà allungato l'aspettativa di vita ma non ha mai dato risposte a qualcosa che assomigli ad esigenze profonde. Metà della vita produttivo, un quarto a essere guardato dai genitori, un quarto a essere guardato dai figli. Scuole non come luoghi di cultura e socialità, ma come parcheggi. Altri parcheggi di 50 metri quadri con dentro settantenni, che se non c'è la signora rumena o filippina guardano solo Rai1 perché nessuno ha considerato significativo spiegare come cambiare canale, le transizioni tecnologiche non sono per loro, che escono solo per tornare con sacchetti con dentro altri sacchetti. La giornata divisa su tre turni: otto ore per dormire, otto ore al lavoro, otto ore per la cura di te stesso. Che poi, di queste ultime, due si trascorrano in un mezzo di locomozione individuale a causa di una crisi antropologico-urbanistica, due a procurarsi e ingurgitare cibo con sufficiente valore nutrizionale ma nessuna valenza sociale e relazionale, due davanti alla televisione per una crisi non meno che culturale.... cosa ti rimane? La settimana a Rimini a ferragosto?

Atasco durante la hora punta, en Shanghai
Fuente: Reuters

Oppure...?
Forse l'unica cosa che mio padre ha tentato di insegnarmi, incarnando anche con la sua attività quest'idea, è che non si vive per lavorare ma si lavora per vivere. Non sono così sicuro di aver capito, in questo contesto, cosa significhi vivere, però.... Sono intelligente quanto basta perché mi venga impossibile identificare i miei fini con quelli di una ipotetica azienda a scopo di lucro di proprietari e/o azionisti per cui mi ritrovassi a lavorare. Ho vissuto troppe relazioni personali autentiche e gratuite, e ho visto troppe persone dedicarsi sinceramente e arditamente al bene comune, per potermi percepire come imprenditore di me stesso allo scopo di qualificarmi e guadagnare potere economico e contrattuale nel "mercato del lavoro". Raccimolare soldi per sostenere uno stile di vita di cui non sento il bisogno è discretamente poco interessante come prospettiva. Forse l'amore per qualcun altro potrebbe valere il percepire tutto il resto come mera sopravvivenza, ma adesso come adesso penso di no.
Solitamente ogni discorso che mi capita di sentire sul tema del lavoro mi avvilisce, opprime la mia personalità, schiacciandola in un angolo remoto mentre retoriche inconcludenti ed esigenze minimali si scontrano di fronte a me senza esito, come se fosse possibile affrontare la questione senza chiedersi su cosa si fonda quella società che vorremmo lo esigesse e garantisse a tutti.

1 commento:

Amber ha detto...

bellissimo post. condivido pienamente la tua analisi. e in merito alla conclusione, credo, temo anzi, che il problema del lavoro in italia sia il fatto che chi ne parla (chi dovrebbe essere competente a regolamentarlo) generalmente non ha, in effetti, la benché minima idea di cosa voglia dire, anche solo lontanamente, la parola "lavoro"; men che meno ha, a mio avviso, idea di che cosa significhi il primo articolo della nostra (bellissima) costituzione.