23/12/10

Il sentiero che porta alla terra dei morti


Anni 80': da una parte il nichilismo e il vuoto valoriale, l'ultraliberismo di Reagan e della Tactcher, il neocolonialismo delle corporation, globalizzazione selvaggia, multinazionali che dettano l'agenda politica ed egemonizzano gli orizzonti personali; dall'altra parte l'ingegneria elettronica, la crescita esponenziale della potenza di calcolo e di stoccaggio dati, megaserver, cibernetica, intelligenza artificiale, biochimica. Il cyberpunk ne è la naturale inevitabile conseguenza a livello di immaginario culturale e di realizzazione letteraria, con i sui temi ricorrenti, le sue opprimenti ambientazioni concretamente futuribili, la sua consistenza interna, e il suo disperdersi annacquato a contaminare la cultura pop negli anni a venire: chi non si è almeno un po' riconosciuto in Neo durante le sue sgaloppate nella matrice a combattere macchine e virus informatici?
Neuromante (titolo originale "Neuromancer", anche in italiano è felicemente conservato il gioco di parole di fusione tra neuro- e necromancer ovvero necromante) di William Gibson, uscito nel 1984, a distanza di quasi trent'anni è considerato il capolavoro del genere, ed effettivamente, a mio modestissimo avviso, ne ha tutti i requisiti: ne definisce i canoni, grazie ad una struttura magistrale, all'efficacia linguistica, e, incidentalmente, ad una trama avvincente, ma contemporaneamente li trascende travalicando progressivamente in una universalità poeticamente visionaria. Non mi stupirei se chi sarà al mondo tra tre-quattro generazioni lo dovrà affrontare nella scuola dell'obbligo (ammesso che mondo, scuole e obblighi esistano ancora) nello stesso modo in cui ora si legge George Orwell.
Il lettore viene immerso gradualmente in una società globale di pirati informatici che scorrazzano nella rete, assassini senza scrupoli al soldo di potenti e ramificate corporation, ricettatori di software e innesti neuronali che ampliano le potenzialità del cervello, chirurghi clandestini e protettori a termine; un mondo dove il polistirolo galleggia illuminato dalle insegne al neon di fronte alle banchine del porto di Tokyo, dove la dispersione urbana ha trasformato l'east coast da New York a Miami in un'unica area metropolitana, dove se non vuoi morire devi guardarti le spalle continuamente. Un mondo stratificato su diversi livelli di realtà, dove la sottrazione fisica di un oggetto può avere successo solo se parallelamente un'incursione attraverso il cyberspazio rende innocui i connessi sistemi di protezione informatica; dove ad ogni elemento fisico reale corrispondono informazioni digitali in un ambiente virtuale infinito-dimensionale nel quale sono topologicamente organizzate strutture di dati in continua comunicazione ed evoluzione, che con ausilio di software vengono rappresentate come oggetti iridescenti immersi in uno spazio illusorio. Attraverso questo network globale posso avere accesso a percezioni sensoriali generate in qualche altro luogo da qualche dispositivo, come se questo fosse fuso con il sistema nervoso; al limite queste possono essere ricostruite artificialmente, posso rimanere intrappolato in un mondo artefatto, ricreato ad arte, ammesso che qualcuno, per esempio una immensa intelligenza interficiale, sappia ricostruire e programmare ogni singolo granello di sabbia, ogni spiffero di vento, le movenze leggiadre di un ragazzino, la dolcezza ammaliante della ragazza che credevi di aver perduto, ovvero la sterminata complessità del mondo, senza ritornare ciclicamente, camminando sulla spiaggia, al punto di partenza. Come a suggerirti che l'unico indizio a sostegno dell'autenticità dell'universo sia la sua infinitezza. Questo sprofondamento viene rappresentato come esperienza sensoriale, un viaggio continuo a tratti inintellegibile, i cui una sinestesia continua trasmette e amplifica la confusione delle percezioni.
Se riesci a non farti travolgere dalla morbosità e dall'intrigata architettura dell'intreccio, non puoi riporre il volume nella libreria senza rimettere in discussione e riaggiornare il tuo concetto di realtà, senza confrontarti con il fatto che le nostre esperienze non sono che input neurali e successive elaborazioni, senza affrontare una questione che arrogantemente mi prendo la libertà di sintetizzare nella seguente domanda un po' prosaica: " Sei innamorato. Preferisci vivere in un mondo che consideri reale perché l'unico che tu abbia mai conosciuto dove sai che lei (o lui) è morta(o) in modo orribile, oppure in un mondo dove ce l'hai lì accanto, potete guardarvi, parlarvi, trasmettervi vibrazioni con le gestualità di sempre, avere amplessi, un mondo per il resto perfettamente indistinguibile dall'altro tranne per il fatto che per certo sai essere falso e illusorio? "

06/12/10

Meraviglie tecnologiche

Vado alla scrivania, premo un tasto e accendo il portatile, il sistema operativo richiede la password utente, si avviano tutti gli oscuri processi che coccolano il mio mondo informatico attraverso l'amichevole familiare grafica a finestrelle; mi connetto via wireless, previo inserimento password, alla rete locale, che attraverso il router fastweb e i suoi protocolli sotterranei mi da accesso alla rete globale. Apro il terminale, ora mi posso dimenticare dell'interfaccia punta-clicca-trascina, e del lago del Nuuksio National Park, Helsinki su cui sono carnalmente ma misticamente appesi cartelle e vari oggettini colorati. Con un bel, soddisfacente, comando SSH, mi connetto, inserendo la password personale, al mio account sul server dell'INFN; qui copio il sorgente della simulazione numerica su cui ho lavorato negli ultimi 5 mesi della mia vita, lo compilo con gfortran. Adesso, da dentro la LAN dell'INFN di Torino, posso connettermi, con un altro bel, soddisfacente, comando SSH, previo inserimento password, all'ìinterfaccia utente lcg dalla quale posso interfacciarmi con GRID, una rete di migliaia di CPU disseminate in decine di centri di ricerca nazionali, che mi fornirà la potenza di calcolo di cui ho bisogno in un lasso di tempo ragionevolmente contenuto. Qui vi copio l'eseguibile appena generato. Avvio un proxy server; il comando, dopo aver richiesto una password "segretissima", controlla i certificati personali elettronici e legge un file di configurazione per sapere che server contattare e a che titolo. Ora, attraverso la mediazione del proxy, posso scambiare dati con questo server e sottoporre l'eseguibile a GRID. Il comando legge un paio di file di configurazione, uno specifica eseguibile e input-output richiesti, un'altro specifica una serie di parametri che influenzano il modo in cui la mia richiesta viene gestita. Il Workload Management System analizza quest'ultima, individua i computing elements e gli storage elements che rispecchino i parametri in grado di soddisfarla e smista il lavoro tra essi, e mi produce una stringa di caratteri identificativa del mio processo con la quale posso controllarne lo stato e recuperare il risultato una volta che è terminato.
In un qualche punto dello spazio tempo a me prossimo, mia nonna di 86 anni si avvia verso verso uno schermo, preme un bottone la cui presenza è evidenziata da un nastro adesivo colorato, e dopo aver smosso l'antenna a baffo attende qualche secondo l'apparizione delle immagini di un varietà tardo pomeridiano della Radiotelevisione Italiana.
Mi sto chiedendo cosa ci sia di strutturalmente diverso, e non lo so.